Bonus casa 2023, la guida aggiornata: chi si salva e chi no dopo lo stop alle cessioni

   

Bonus casa 2023, la guida aggiornata: chi si salva e chi no dopo lo stop alle cessioni Il big bang è arrivato. Torna decisiva la capienza fiscale. Nella guida di 80 pagine, scaricabile all’interno di questo articolo, una bussola per orientarsi tra le agevolazioni sulla casa: dal superbonus alle ristrutturazioni, da bonus mobili e giardini al risparmio energetico, dal bonus barriere architettoniche al sismabonus

 

 

Alla fine, il big bang è arrivato. Stop alle cessioni e agli sconti in fattura del superbonus e di tutti i bonus casa da venerdì 17 febbraio, quando è entrato in vigore il Dl 11/2023.

Fanno eccezione solo i lavori già avviati o per i quali siano state presentate Cilas e autorizzazioni al Comune entro il giorno precedente l’entrata in vigore del provvedimento (cioè, giovedì 16 febbraio).

Proprietari d’immobili, imprese e professionisti si trovano così ad affrontare una situazione ingarbugliatissima e destinata a cambiare ancora, con i correttivi annunciati dal Governo mentre questo instant book va in stampa.

In poco più di un anno – a partire dal decreto Antifrodi del 12 novembre 2021 – si sono abbattute undici modifiche sulla norma che, in piena pandemia, aveva previsto lo sconto in fattura e la cessione del credito d’imposta per tutti: l’articolo 121 del decreto Rilancio. In pratica, un cambiamento ogni 42 giorni, con un’intensità diventata crescente negli ultimi mesi.

Già un anno fa c’era stata una prima stretta, con il blocco (poi ammorbidito) delle cessioni successive alla prima; ora arriva invece uno stop generalizzato, motivato dall’esigenza di salvaguardare i conti pubblici.

Come ha spiegato la premier Giorgia Meloni, senza una misura per ridurre l’esborso a carico dell’Erario, non ci sarebbero state le risorse per la prossima legge di Bilancio. Insomma, occorreva fermare la circolazione (e quindi la creazione) della famigerata moneta fiscale.

 

Lo stop assestato dal Governo, per la verità, è stato improvviso, ma non completamente inatteso. La frenata prende atto di una situazione che, mese dopo mese, era già diventata piuttosto compromessa. Anche per effetto delle molte modifiche, il mercato delle compravendite di crediti è progressivamente imploso: istituti bancari e intermediari finanziari in generale già da tempo non compravano più “moneta fiscale” o, nel migliore dei casi, la compravano con il contagocce. Il decreto 11/2023, in qualche modo, ha scattato solo una fotografia dell’esistente, con l’obiettivo di non creare altra domanda di cessioni e sconti in fattura impossibile da soddisfare.

Oltre a fermare le cessioni, il provvedimento prova ad accelerare la soluzione di quella che potrebbe diventare una crisi di sistema: lo sblocco dei crediti incagliati in pancia a imprese e famiglie (quasi 20 miliardi, secondo le stime del Governo di metà febbraio). Per fare questo, introduce nuove regole sul tema della responsabilità solidale tra cedente e cessionario. Senza toccare, almeno fino al momento di andare in stampa, il delicatissimo problema degli effetti dei sequestri sugli acquirenti in buona fede.

Torna decisiva la capienza fiscale

Uscendo dalle considerazioni macroscopiche, e tornando alla pratica, resta da capire come i contribuenti dovranno affrontare le nuove regole. Il caso più semplice è quello di chi non ha ancora avviato i lavori.

Bisogna fare i conti con realismo, senza poter fare affidamento – almeno fino a nuovi cambi normativi – sulla cessione e sullo sconto in fattura. Tutto si gioca, perciò, sulla possibilità di usare i bonus in dichiarazione dei redditi sotto forma di detrazione. Una soluzione che richiede due requisiti:

- primo, avere abbastanza Irpef per poter assorbire la detrazione (cosa tutt’altro che scontata con il superbonus, anche nella versione ridotta al 90%, che si recupera in sole quattro rate annuali);

- secondo, avere denaro a sufficienza per poter anticipare l’investimento e attendere il recupero sotto forma di rimborso fiscale negli anni successivi (o, in alternativa, avere le spalle abbastanza solide da ottenere un prestito per finanziare la ristrutturazione).

È chiaro che molti contribuenti resteranno tagliati fuori, a partire da coloro che applicano il regime forfettario (salva la possibilità di revocare l’opzione). Ed è altrettanto chiaro che nei condomìni sarà molto difficile riuscire a deliberare gli interventi, perché – in ogni edificio – ci sarà probabilmente qualcuno che non vuole o non può pagare e può far mancare il quorum.

Insomma, si tornerà al 2019, cioè alla situazione precedente alla cessione per tutti, e i lavori agevolati diminuiranno in maniera rilevante (che poi è esattamente l’obiettivo perseguito dal Governo nel tentativo di sgonfiare la bolla dei bonus casa).

Il limbo all’improvviso

Molto più complicato è il caso di chi è stato colto a metà del guado dal blocco delle cessioni e dovrà rinunciare, all’improvviso, allo strumento che gli consentiva di liquidare i suoi crediti in maniera immediata. Il mercato, come detto, era già quasi del tutto bloccato, ma la stretta del nuovo decreto 11/2023 rende ora impossibili tutte le cessioni, anche quelle agli «altri soggetti privati», menzionati dall’articolo 121 del decreto Rilancio (parenti, conoscenti, amici con abbastanza imposte da versare nel modello F24).

Le situazioni di soggetti messi in crisi dall’ultima stretta possono essere diverse. Ci sono i condòmini che non hanno ancora deliberato i lavori sull’edificio, ma hanno già pagato gli studi di fattibilità e persino raccolto i fondi per saldare i primi stati avanzamento lavori. C’è il proprietario della villetta bifamiliare che ha pianificato il cantiere, ma non ha fatto in tempo a presentare la Cilas.

Ci sono i contribuenti pronti a eseguire interventi in edilizia libera, piccoli lavori senza alcun titolo abilitativo, come il cambio della caldaia o delle finestre, per i quali hanno firmato un preventivo e versato un acconto mesi fa; senza l’avvio dei lavori entro il 16 febbraio, la possibilità di utilizzare cessione e sconto in fattura è persa e, in molti casi, i contratti già firmati andranno rifatti.

E ci sono anche i casi più gravi di chi ha sottoscritto un preliminare di acquisto prima del 16 febbraio, pensando di avere lo sconto in fattura, ma non l’ha ancora registrato e quindi resterà escluso. Un caso particolarmente eloquente: perché il termine di legge per la registrazione è di trenta giorni; ma anche chi lo ha rispettato potrebbe perdere lo sconto.

Sono esempi concreti del “taglia fuori” improvviso deciso dal decreto. Che gela i cantieri, disincentiva gli investimenti e mette in crisi tante imprese.

La nuova geografia dei bonus

Il big bang di metà febbraio, poi, non arriva isolato, ma segue un altro shock, altrettanto significativo, arrivato alla fine dell’anno, tra la legge di Bilancio 2023 (legge 197/2022) e la legge di conversione del decreto Aiuti-quater (Dl 176/2022, convertito dalla legge 6/2023). Il superbonus, con un altro blitz, è stato tagliato dal 110 al 90% per il 2023. Per quest’anno l’agevolazione è ridotta e, per le abitazioni unifamiliari, è disponibile solo se vengono rispettati diversi paletti, tra i quali spicca un nuovo quoziente familiare con tetto a 15mila euro di reddito.

Resta una piccola coda di 110% in alcune situazioni, come quella delle unifamiliari che avevano già il 30% di lavori effettuati al 30 settembre 2022 o come i lavori condominiali per i quali, all’entrata in vigore dell’Aiuti-quater, erano già stati deliberati gli interventi di ristrutturazione.

Dall’anno prossimo il 90% sarà, poi, sostituito da un meno attraente 70%, che diventerà 65% nel 2025. E, contemporaneamente, sparirà la maxi agevolazione per unifamiliari e immobili autonomi.

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